La "leva espatriato" solleva le Aziende

Valentina Bilotta - Partner di ECA Italia - illustra come diventi prioritario organizzare un modello di business efficace ed efficiente che garantisca un pieno controllo del processo di gestione degli espatriati.

La gestione dei processi di mobilità internazionale del personale è un tema che sta assumendo un indice di criticità crescente all'interno delle Direzioni Risorse Umane delle società italiane che hanno nell'internazionalizzazione del loro business un fattore critico di successo. L'espatriato è quel Key Player che a diversi livelli va frequentemente ad occupare una posizione strategica presso la consociata estera dove la
casa madre ha sviluppato un proprio progetto. Le ragioni per le quali le aziende spingono sulla "leva espatriato" possono essere di diversa estrazione ed origine. Un dato interessante è riportato da una recente indagine svolta da ECA International, leader mondiale nella consulenza e data management per la gestione delle risorse internazionali, da cui emerge come le ragioni che spingono le aziende ad agire sulla leva della mobilità internazionale sono tendenzialmente di profilo manageriale e/o tecnico manageriale. Diventa pertanto prioritario organizzare un modello di business efficace ed efficiente che garantisca un pieno controllo del processo, attraverso la costruzione di un trattamento economico competitivo che tenga in adeguata considerazione non solo la parte "cash" ma anche quella di cui ai cd soft benefit (assicurazioni sanitarie, polizze previdenziali, scuole, caring sull'host country, supporto al coniuge dell'espatriato/a, dimensione multiculturale e gestione dell'impatto su espatriato e famiglia al seguito).
Se la parte relativa al trattamento economico e/o pacchetto retributivo è quella di norma più intuitiva e certamente chiara nell'agenda del manager delle risorse umane delegato alla gestione di questi passaggi, è frequente verificare una non piena consapevolezza su quelle circostanze – anch'esse gestionali – che possono determinare un pericoloso sviluppo del costo dell'operazione, se non tempestivamente organizzate.Ci riferiamo alla pianificazione fiscale trans-nazionale ed al planning previdenziale. Avuto riguardo dell'invio
degli italiani all'estero nel particolare, è bene avere chiaro il fatto che il lavoro all'estero non implica, in automatico, l'esenzione ai fini fiscali in Italia. Sono ormai 12 anni che l'esenzione fiscale per il lavoro all'estero è venuta meno nel nostro paese, con il manager o tecnico italiano che viene di norma tassato due volte sullo stesso ammontare. Una non attenta pianificazione di questo delicato passaggio, l'assenza di una politica retributiva ed a valle di neutralità fiscale, un approccio superficiale nell'analisi di cui al confronto tra normative domestiche (italiana e del paese di assegnazione) e convenzionali, sono una serie di circostanze che possono determinare una pericolosa spirale, generatr ice di "over cost" in alcuni casi difficilmente recuperabili. Perché quella doppia imposizione, di cui al reddito di lavoro prodotto all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, può essere in larga parte recuperata attraverso un meccanismo di credito d'imposta che deve peraltro avere a monte della strategia HR un rilevante momento di attenzione nell'agenda operativa. Stesso dicasi per il planning previdenziale, tanto più se l'assegnazione del candidato all'espatrio sia mirata ad un Paese che non vanta una convenzione di sicurezza sociale con l'Italia, e parliamo della maggioranza riferendoci ai Paesi fuori dalla Unione Europea. Le complessità sinteticamente descritte devono poi andarsi a coordinare con un sistema di comunicazione efficiente e proattivo nei confronti del candidato all'espatrio, tenendo in debita considerazione che attese e aspettative del manager dovranno confrontarsi con progetto, proposta economica e sistema di caring trasversale da parte dell'azienda, dal momento dello start up dell'espatrio a quello del rientro. I manager delle risorse umane dovranno perciò essere pronti a rispondere a domande che in generale potrebbero sembrare strane o certamente ordinarie, la cui risposta è praticabile solo se ci si è preparati ad esplorare un mondo certamente complesso e di non semplice lettura... "Sono stato distaccato all'estero, cosa mi conviene fare: mantenere la residenza fiscale italiana o acquisire quella estera?" … oppure …"Durante il periodo di distacco dove verranno versati i miei contributi previdenziali?" … "All'estero mi verrà assicurata la copertura sanitaria?" … piuttosto che ... "Mi sono iscritto all'AIRE e sono tornato in Italia per le vacanze, come faccio a usufruire dei servizi del mio medico di famiglia? Vale ancora la mia tessera ASL?" Il coordinamento di tematiche soft e hard deve essere al centro dell'agenda HR: gli espatriati sono per definizione quel profilo di dipendente/collaboratore che le attiva simultaneamente, l'HR Management e il mondo dei professionisti diventano il terminale sul quale far planare la richiesta di supporto.
 
 
 
"In Italia nelle società controllate da multinazionali circa 8 top manager su 10 sono italiani"
Le multinazionali puntano sempre più agli italiani per condurre le proprie filiali nel Bel Paese. Si inverte così un trend che ha visto crescere per anni la presenza di manager expatriate nella Penisola. Ora si assiste a un rientro, che lascia spazio ai dirigenti nostrani, purché con esperienza internazionale. È quanto emerge da una analisi condotta da Elan International, società di head hunting, secondo cui nelle società controllate da multinazionali nel nostro Paese circa 8 top manager su 10 sono italiani, rispetto ad una decina di anni fa, quando erano poco più della metà. In alcuni settori, come quello bancario, la quota "domestica" è ancora superiore, mentre scende nell'industria. Il Paese con il maggior numero di manager expats è di gran lunga la Gran Bretagna. Seguono Germania, Francia e Italia.
 
 
 

Torna al Sommario dell'ultimo numero dell'IMJ