Talent management e global mobility si incontrano sempre di più in Cina - di V. Bilotta, Partner ECA Italia
Espatriare manager e tecnici in Cina è un'operazione certamente complessa e in alcune circostanze critica. Un tema sul quale richiamiamo frequentemente l'attenzione dei clienti è quello della definizione di residenza fiscale in Cina: un soggetto non domiciliato nella Repubblica Popolare che soggiorna in Cina per almeno un anno "pieno" (con eventuali periodi di assenza dal Paese inferiori a 30 giorni consecutivi o 90 giorni nel totale), ma la cui presenza sul territorio non supera i 5 anni "pieni" (full year) consecutivi, è soggetto (con l'approvazione da parte delle autorità fiscali cinesi) alle imposte cinesi limitatamente ai redditi attribuibili ai servizi resi nel Paese o a eventuali altri redditi erogati e/o sostenuti da un soggetto cinese. Un individuo che invece risiede in Cina per almeno 5 anni "pieni" è soggetto a imposta sui redditi ovunque prodotti a partire dal sesto anno di permanenza in Cina (e, più correttamente, a partire dal successivo anno di residenza "piena" nel Paese).
È di rilievo ricordare inoltre che, nel corso del 2012, è stata data attuazione – seppure non in tutte le città della Cina – alla nuova normativa cinese che ha obbligato anche i lavoratori stranieri a contribuire al sistema di sicurezza sociale cinese. Sono circostanze che ogni Direzione Risorse Umane che abbia nella Cina uno dei target geografici di riferimento deve necessariamente considerare. E considerati i trend in atto, la Cina è sempre più spesso uno di questi target.
Da una recente indagine che ECA Italia ha condotto su un campione qualificato di Direzioni Risorse Umane italiane, la Cina risulta infatti il Paese a più elevata domanda di espatrio subito dopo gli USA. In media, su base annua, ECA offre consulenza a non meno di 55/60 progetti di assegnazione internazionale in Cina. Un singolo progetto può implicare naturalmente il distacco/assegnazione/ localizzazione di un numero di dipendenti che va da 1 a 8/10, in funzione della dimensione del progetto dell'azienda cliente e della rilevanza dell'investimento che l'azien-da italiana ha realizzato in Cina. Questo numero di progetti fa in generale capo a circa 35/40 aziende su una media annua di clienti per la linea di prodotto "consulenza" non inferiore a 120/125 aziende. È un dato particolarmente significativo ed eloquente, perché indica, appunto, quanto la Cina sia una "issue" per le Direzioni Risorse Umane italiane. Basti pensare che ECA Italia ha organizzato negli ultimi 10 anni 7 focus/workshop sulla gestione degli espatriati in Cina, in collaborazione con fiscalisti internazionali e giuslavoristi internazionali cinesi, raccogliendo in media mai meno di 28/32 aziende partecipanti.
Iniziando a scendere nelle caratteristiche operative, va anzitutto considerato come l'impatto culturale sia un tema di rilievo. Lavorare e vivere in Cina è oggettivamente diverso da una altrettanto sfidante esperienza a Londra, Parigi, New York. Si tratta di aderire – veramente – a una dimensione multiculturale, tanto più la location sia riferibile a realtà metropolitane in cui il melting pot è creato da cinesi (ovviamente in maggioranza) e manager internazionali provenienti da tutto il mondo. Camminare per le strade di Shangai o Hong Kong o prendere la metropolitana in una di queste località chiarisce immediatamente cosa significhi la diversità, quanto un contesto sociologico-lavorativo-culturale complesso quale quello cinese sia diventato polo di attrazione per le più diverse provenienze internazionali. Provenienze che devono peraltro essere disposte ad accettare e saper vivere in reale apertura alla diversità culturale – dall'ufficio, alla scuola dei figli, al reale rispetto di abitudini, religione – punti di vista della vita diametralmente opposti alle nostre culture. È il Diversity Management, è quello che sia il manager, sia i professionisti delle risorse umane devono realmente imparare a vivere e acquisire, passando "dalle slides di presentazione su cosa è il Diversity Management" al vivere e produrre realmente progetti, risultati, obiettivi, dentro un reale contesto di Diversity Management.
Molte volte, tanto i manager d'azienda quanto i professionisti delle risorse umane si fermano per così dire alle slides. Ma "fare davvero" diversity management significa anzitutto essere dotati di senso critico, buttando nel cestino la nostra avversione a quello che non fa parte della nostra cultura, le nostre schegge di permalosità, la nostra attitudine a respingere il cambiamento.
ECA International produce molta "sociologia aziendale" e ci insegna che molte delle ragioni che portano al fallimento dell'espatrio sono generate da una scarsa attitudine alla diversità che il manager ha improvvisamente manifestato nel corso dell'espatrio. Ebbene: la Cina è particolarmente sfidante sotto questa latitudine. In base ai risultati dell'indagine ECA Italia 2015 sulle politiche e prassi per la gestione degli espatriati italiani, la Cina rimane il secondo Paese per destinazione del personale espatriato e le principali motivazioni dell'espatrio sono sempre quelle tradizionali (vedi grafico, ndr), anche se si registra una maggiore tendenza allo sviluppo carriera proprio in una logica di maggiore connessione tra Talent Management e Global Mobility.
In base alla nostra esperienza recente, è sempre più frequente, soprattutto per gli under 40, essere trasferiti e localizzati in Cina piuttosto che "distaccati temporaneamente". Questo aspetto apre tematiche molto critiche sul piano fiscale e previdenziale. Il primo tema è in effetti sempre e comunque presente, al di là del modello di assegnazione internazionale: dall'ormai lontano 1 gennaio 2001, i lavoratori italiani all'estero non sono più esentati sul piano fiscale in Italia, un tema molto complesso che l'Area Tecnica della nostra società affronta continuativamente con i propri clienti, la doppia imposizione è forse una delle più complesse criticità da gestire nell'invio di un dipendente di nazionalità italiano all'estero.
Sul piano previdenziale, poi, l'impegno non è da meno, diventando frequentemente agenti previdenziali di molte aziende cinesi che, avendo in carico dipendenti di nazionalità italiana, passano ad applicare le previsioni di cui alla L.398/87, una leva normativa che il nostro legislatore ha messo a disposizione da quasi 30 anni, permettendo agli italiani assunti con contratti di lavoro locale esteri da datori di lavoro ubicati in paesi non convenzionati sul piano della sicurezza sociale, di avere garantita la continuità contributiva in Italia. E la Cina, come noto, è un Paese non convenzionato previdenzialmente con l'Italia.