HR, quello che le ricerche non dicono - di P. Iacci, Presidente ECA Italia - IMJ n° 62
Ogni anno la letteratura manageriale internazionale ci offre molti spunti di riflessione sulla nostra funzione e la ricerca Cranet ne è sicuramente un buon esempio. Vi sono però alcune opinioni che sento regolarmente circolare tra colleghi su cui forse varrebbe la pena fermarsi un attimo di più a riflettere. Niente di scientifico, e nessuna pretesa conclusiva, solo alcuni punti di discussione che mi sembra rimangano ancora aperti.
La funzione sta perdendo peso specifico. È vero che i Direttori HR siedono nei comitati esecutivi e che sono chiamati a discutere l'impatto sulle risorse umane delle principali scelte aziendali, ma il sentimento diffuso è che la funzione in questi anni abbia perso peso specifico. Quando il sindacato era un soggetto forte il ruolo dell'HR era centrale perché sulle barricate. Avendo la controparte perso il suo potere, anche chi la fronteggiava sembra aver perso qualcosa. Probabilmente perché non è ancora riuscita a sostituire a un approccio fortemente normativo uno altrettanto forte sul versante della valorizzazione del capitale umano. Peter Allen sul numero di aprile 2015 di McKinsey Quarterly e Ram Charan, Dominic Barton e Dennis Carey nel numero di agosto 2015 di Harvard Business Review affermano che i CEO di tutto il mondo vedono nel capitale umano un asset fondamentale, ma considerano l'HR solo l'ottava o la nona funzione aziendale in ordine di importanza. In entrambi gli interventi si auspica che l'HR faccia lo stesso salto organizzativo che ha fatto la funzione finanziaria negli anni '80 e possa così diventare un partner effettivo dei CEO.
Lavoriamo in una funzione senza sbocchi di carriera. I Direttori Generali e i membri del CdA di provenienza HR si contano sulle dita di pochissime mani. Le cause sono note ma tutte lontane dall'essere risolte: la nostra carriera è troppo solo interna alla funzione e i responsabili sono poco propensi alla contaminazione, la lontananza dal business in alcuni casi è molto marcata, mentre in altri prevale ancora una cultura legata più a dinamiche di potere interne che non a logiche produttive.
La quantità della forza lavoro HR sta crescendo ma non necessariamente in qualità percepita. Il numero degli addetti è in continua crescita. La prima impennata vi era stata con l'istituzione delle società di lavoro interinali e da allora il trend non è mai calato, pur evidenziando due ulteriori fenomeni collaterali: il crescere dei laureati con lauree "deboli" e lo spostamento del grosso della forza lavoro fuori dalle imprese, nelle società di intermediazione, nella consulenza e nei servizi gregari. Entrambi questi fenomeni sembrano essere sincroni a una perdita di peso della funzione.
Le funzioni HR, soprattutto delle multinazionali, sono sempre più schiacciate sull'execution. In molte multinazionali al fine di ridurre i costi e sviluppare la qualità dei servizi comuni, questi sono stati convogliati in cosiddetti "centri d'eccellenza" in genere dislocati fuori dai nostri confini nazionali presso le strutture centrali di Holding. Inoltre la gestione del personale continua a rispondere al country mentre lo "sviluppo risorse" e gli altri servizi comuni, come ad esempio l'amministrazione del personale, rispondono gerarchicamente alla struttura HR centrale. Questo modello in questi anni ha quindi spostato fuori dai confini nazionali il momento progettuale dei processi trasversali HR e dello sviluppo risorse. Le prime evidenze ci mostrano alcuni risparmi, ma anche molti disservizi nel rapporto con la linea. Le direzioni HR locali in questi casi hanno talvolta perso smalto e la focalizzazione è stata soprattutto sulla gestione del quotidiano e sul taglio dei costi.
Assistiamo a un abbassamento del livello qualitativo della consulenza HR. In molti casi, i budget sono stati tagliati significativamente e talvolta in molte imprese la scelta dei consulenti vede un forte ruolo degli acquisti che, per loro natura, nella scelta preferiscono il prezzo alla qualità. Una volta fare il consulente poteva essere molto vantaggioso anche sul piano economico, oggi lo è sicuramente assai meno. If you pay peanuts, you get monkeys.
Assistiamo a un analogo abbassamento del livello qualitativo delle strutture HR. Una serie di elementi concorrono in questo senso:
a) La media impresa imprenditoriale non si è managerializzata e anche la gestione delle persone è talvolta improntata all'improvvisazione.
b) Le aziende padronali hanno preferito crescere con le sole risorse personali e non si sono aperte ai mercati finanziari: questo apparentemente c'entra poco con il livello della gestione delle persone ma non è così.
c) Le business school per la maggioranza dei casi hanno chiuso: Ifap, Ancifap, Piero Pirelli, Isvor Elea, Tils, e così via sono tutte realtà che hanno svolto un ruolo nella crescita della funzione HR nel nostro Paese. Averle chiuse sta comportando una progressiva perdita di managerialità che va a danno di tutto il sistema Paese.
d) I dirigenti in questi anni sono stati decimati e in molti casi non sostituiti. Anche il numero di colleghi HR, molto bravi, a spasso è ormai davvero preoccupante.
Sono tutti elementi che concorrono a un indebolimento della classe dirigente delle nostre imprese, in cui la funzione HR non fa eccezione anche per alcune tra le cause aggiuntive sopra ricordate (la perdita di funzione guida di molte multinazionali, lo spostamento fuori dall'azienda di molte attività HR, la perdita di peso specifico della funzione, e così via).
Nel dibattito HR le parole d'ordine stanno perdendo senso. Pochi luoghi organizzativi come le Direzioni del Personale hanno la capacità di produrre parole d'ordine suggestive e poi di vanificarle. Le parole sono però i mattoni con i quali è costruito il mondo. Privarle del loro significato vuol dire rendere quel mondo irrimediabilmente fragile. Così se da un lato si continua a ripetere "people first", ma poi talvolta in quelle stesse imprese si persegue l'obiettivo della riduzione costi senza attenzione alle persone, si perdono legittimità e fiducia tra le persone e perfino tra gli stessi dirigenti d'impresa. Nelle popolazioni aziendali cresce l'apatia e la sfiducia e il management sembra impotente. In questi ultimi anni si sta sempre più vanificando la capacità delle istituzioni di generare senso nella costruzione del rapporto tra il soggetto, i suoi simili e il resto del mondo. Tra le istituzioni che hanno in larga misura perso questa capacità vi è anche l'impresa. Negli uffici le persone non si riconoscono più nel loro lavoro e in chi glielo propone. Questo è il problema centrale per chi ha la responsabilità della conduzione delle imprese, e con esso, chi istituzionalmente ha il compito di orientare il comportamento dei lavoratori. Ma di questo il top management e in parte gli stessi professionisti HR sembrano dimenticarsi. In questi anni di crisi, la priorità in molti casi (grazie al cielo non in tutti) è stata il taglio dei costi, anche dove i bilanci non erano in così grave difficoltà e dove forse si sarebbero potuti perseguire entrambi gli obiettivi: ridurre i costi e motivare le persone.
E veniamo alla ricerca. La ricerca Cranet nel porre il dilemma tra engagement ed efficienza ci suggerisce con intelligenza che le sfide manageriali che abbiamo di fronte sono riconducibili all'obiettivo di sviluppare l'agility organizzativa, intesa come la capacità dell'organizzazione di mantenere costantemente allineati un pensiero strategico in costante ridefinizione e l'execution operativa necessaria per la sua realizzazione. In realtà le Direzioni HR in questi anni di crisi sono state per lo più costrette a perseguire logiche di puro recupero di efficienza a danno della motivazione delle persone. Se non si riuscirà a bilanciare queste due leve, le imprese (e non solo le Direzioni HR) avranno un prossimo futuro difficile.
Tutti questi elementi dovrebbero indurre un netto pessimismo riguardo alla situazione e le future sorti della funzione HR. Da lustri sento reiteratamente la cantilena sulla presunta prossima morte della funzione. Non credo a nessuna di queste lugubri sibille. Personalmente sono molto ottimista. Non certo perché sottovaluto le criticità che ho appena elencato. Per tutt'altro motivo: dalla Seconda Guerra Mondiale, si è verificata una grande discontinuità epocale, dovuta all'effetto congiunto del progresso tecnologico, dello sviluppo organizzativo, della globalizzazione, dei mass media, della scolarizzazione diffusa, e si è affermato l'attuale sistema postindustriale, e ora digitale, centrato sulla produzione di beni immateriali, caratterizzato da nuovi assetti dell'economia, del lavoro, della cultura e della convivenza, di cui la risorsa "uomo" ne è sempre più il crocevia. Ne consegue la necessità di professionisti. Credo quindi che il sistema HR non possa che crescere quantitativamente e qualitativamente, perfino malgrado se stesso.