Internazionalizzazione delle imprese. La gestione dell'espatriato - di Vittorio de Chaurand Technical Director di ECA Italia
In uno scenario economico in continua evoluzione, sviluppare la propria attività internazionale è stata negli ultimi 15 anni l'unica via che le aziende italiane potevano seguire. Espandere la propria attività all'estero può implicare la necessità di espatriare proprio personale al fine di gestire o controllare le operazioni internazionali della società. In tal caso, occorre valutare, tra gli altri, i seguenti aspetti:
- il tema di immigrazione, ovvero verificare quale titolo di soggiorno sia richiesto all'estero per poter regolarmente soggiornare in quel Paese (nei limiti, com'è evidente, che si tratti di inviare un proprio dipendente in uno Stato non appartenente all'Unione Europea);
- il tema della contrattualistica, in caso si preveda una presenza prolungata di un proprio dipendente all'estero è, infatti, di norma consigliata la stipula di uno specifico contratto (integrativo rispetto all'originario contratto di assunzione) che preveda l'esecuzione della prestazione in via esclusiva all'estero;
- il tema degli adempimenti amministrativi che l'azienda italiana deve assolvere per l'invio all'estero di propri lavoratori (comunicazione agli uffici del lavoro italiani, iscrizione a ruolo estero del lavoratore, ecc.);
- il tema fiscale, ovvero verificare da un lato che l'attività svolta dal proprio personale non costituisca stabile organizzazione (entità tassabile nel paese estero) e dall'altro che il lavoratore debba versare imposte sia in Italia che all'estero oppure solo all'estero;
- il tema previdenziale, ovvero determinare il paese in cui debbano essere versati i contributi previdenziali;
- il tema della gestione dei costi connessi all'espatrio, ovvero come debbano essere regolati i rapporti economici tra l'azienda italiana distaccante e quella estera ricevente, in particolare in ipotesi di invio presso società appartenente al medesimo gruppo;
- il tema delle politiche retributive e della corretta determinazione del pacchetto retributivo per il dipendente inviato all'estero.
Per quanto riguarda gli aspetti fiscali, è bene sottolineare che il lavoro all'estero non implica, in automatico, l'esenzione ai fini fiscali in Italia. Sono ormai 15 anni che l'esenzione fiscale per il lavoro all'estero è venuta meno nel nostro Paese, con il lavoratore (il manager o tec-nico italiano) espatriato che, se resta residente in Italia, viene di norma tassato due volte sullo stesso ammontare (salva l'applicazione del credito di imposta, di cui si dirà dopo). Una pianificazione non attenta di questo delicato passaggio, l'assenza di una politica retributiva e a valle di neutralità fiscale, un approccio superficiale nell'analisi delle normative domestiche (italiana e del Paese di assegnazione) e convenzionali costituiscono una serie di circostanze che possono determinare una pericolosa spirale, generatrice di ulteriori costi in alcuni casi difficilmente recuperabili.
A tale riguardo si consideri che la doppia imposizione cui può essere soggetto il reddito di lavoro prodotto all'estero può essere in larga parte recuperata attraverso lo strumento del credito d'imposta. In questo senso i temi relativi alle modalità e tempi di fruizione del cre-dito in oggetto, quelli riguardanti il tipo di documentazione necessaria ai fini del riconoscimento dello stesso, dovranno essere necessariamente presenti nell'agenda operativa del direttore delle risorseumane che si ponga come obiettivo quello di assicurare il massimo possibile contenimento dei costi. Stesso dicasi per il planning previdenziale, tanto in caso di assegnazione in un Paese legato all'Italia da una convenzione (multilaterale o bilaterale) in materia di sicurezza sociale, che di espatrio in paesi non convenzionati previdenzialmente con l'Italia. Si tratta, in particolare, di comprendere in che termini il lavoratore possa continuare (e per quanto tempo) a conservare le coperture previdenzialiassicurative obbligatorie italiane anche se inviato a prestare la propria attività, in modo stabile, al di fuori del territorio italiano. Relativamente al pacchetto retributivo da riservare al dipendente inviato all'estero, non esiste un unico modello o schema di definizione del pacchetto retributivo per il personale espatriato; questo risulta evidente da un'Indagine ECA Italia 2015 "Espatriati italiani: politiche e prassi gestionali". In ogni caso è sicuramente possibile individuare dei trend chiari tra le aziende italiane in tema di costruzione del trattamento economico aggiuntivo di espatrio.
In Italia l'approccio più diffuso è l'home country based (o build up) approach che prende come riferimento per la costruzione del trattamento aggiuntivo di espatrio la retribuzione riconosciuta nel paese di partenza. Dall'indagine citata risulta infatti che poco più del 20% delle aziende intervistate abbia implementato altri sistemi, quali sistemi Host o Hybrid.
Pertanto, in quasi tutti i casi verificati è la retribuzione italiana a rappresentare la base di partenza per la costruzione del trattamento economico e monetario da garantire al personale all'estero. Nella costruzione del pacchetto di espatrio, alla retribuzione riconosciuta in Italia, si aggiungono elementi legati all'assegnazione all'estero. A tale riguardo si consideri che più del 90% delle società italiane, indipendentemente dal sistema salariale applicato, prevede l'erogazione di incentivi da aggiungere al pacchetto salariale. I più comuni sono:
- indennità di espatrio/indennità di servizio estero (come incentivo ad espatriare);
- indennità di disagio (incentivo supplementare volto a compensare le differenze culturali, di clima, cultura, sicurezza personale, qualità di vita);
- indennità costo vita (un riconoscimento addizionale teso a compensare l'eventuale differenziale - positivo - del costo vita nel Paese estero in modo che il lavoratore mantenga all'estero il potere di acquisto che aveva nel proprio paese di provenienza);
- indennità una tantum di prima sistemazione (si tratta di un emolumento pagato all'atto della partenza e di norma finalizzato a coprire le spese accessorie legate all'espatrio che non sono oggetto di apposito separato riconoscimento, ad esempio quelle legate all'acquisto di mobilio o vestiario, trasporto di bagaglio e masserizie, lavori di sistemazione abitativa, ecc.).
Il risultato finale è il cosiddetto trattamento monetario di assegnazione. Nel grafico che segue, è indicata la percentuale di aziende che eroga gli incentivi indicati.
Va poi rilevato come la quasi totalità delle aziende, in aggiunta alle indennità monetarie, fornisce all'espatriato dei benefit aggiuntivi, ad esempio per l'abitazione o la scuola per i figli.
I benefit forniti sono in genere i seguenti:
- Alloggio nel Paese di assegnazione (88%)
- Spese di istruzione per i figli (90%)
- Autovettura e altre (71%)
- Biglietti aerei, assicurazione, fondi pensione (88%)
Le problematiche fiscali, previdenziali e remunerative, sopra accennate, sono solo alcuni degli aspetti che le aziende devono considerare e valutare attentamente quando intendono espandersi a livello internazionale attraverso l'invio di proprio personale all'estero (per gestire al meglio i propri espatriati). Inoltre, tutte le tematiche che toccano la mobilità internazionale sono in continua evoluzione, dalle tutele previdenziali, obbligatorie o facoltative, ai fringe benefit, dai sistemi di remunerazione alle formulazioni contrattuali nella loro varietà e molteplicità, dall'attento monitoraggio della giurisprudenza italiana ai temi dell'immigration nel paese di destinazione, spesso di difficile soluzione anche per espatriati di alta qualifica. Ebbene, prima di cominciare la grande avventura dell'internazionalizzazione, è necessario quindi essere consapevoli delle problematiche connesse ed affrontarle nel modo migliore.