Espatriati italiani: politiche e prassi gestionali di R. Zanoni - Business Technical Manager Eca Italia

Non esiste un unico modello o schema di definizione del pacchetto retributivo per il personale espatriato, questo risulta evidente analizzando i risultati dell'Indagine ECA Italia 2015 "Espatriati italiani: politiche e prassi gestionali", ma è sicuramente possibile individuare dei trend chiari tra le aziende italiane in tema di costruzione del trattamento economico aggiuntivo di espatrio che, come noto, rappresenta un elemento fondamentale per gestire in maniera efficiente le assegnazioni di personale all'estero, costituendo:
  • un importante fattore di attrazione per il dipendente che in funzione della relativa convenienza potrà essere più o meno interessato dalla proposta di assegnazione all'estero;
  • una voce di costo per la società che potrà essere ottimizzata attraverso un'attività che, diversificandone la struttura tra le componenti monetarie e quelle in natura, sappia cogliere le opportunità offerte dai differenti sistemi impositivi vigenti nei Paesi di assegnazione.
Volendo sintetizzare i risultati di un'indagine estremamente analitica circa i comportamenti aziendali in tema di definizione del pacchetto di espatrio, il primo elemento da sottolineare è che, come per il passato, le nostre aziende continuano ad applicare un approccio Home country based (o build up) che prende come riferimento per la costruzione del trattamento aggiuntivo di espatrio la retribuzione italiana. Ci risulta infatti che poco più del 20% delle
aziende intervistate abbia implementato sistemi Host o Hybrid.
 
 
Pertanto in quasi tutti i casi verificati è la retribuzione italiana a rappresentare la base di partenza per la costruzione del trattamento economico e monetario da garantire al personale all'estero. Ciò premesso, diamo alcune indicazioni sul sistema di definizione delle cosiddette "indennità di espatrio", cercando di cogliere gli elementi comuni e differenzianti verificati attraverso l'indagine.
Il primo elemento da sottolineare è che rispetto al passato le aziende non si possono più affidare, nella costruzione del pacchetto di espatrio, a criteri empirici e legati alle capacità negoziali dell'azienda e del candidato, come invece era rilevabile fino a pochi anni fa, ma si rileva come sia sempre di più necessario approcciare il problema direi, in modo scientifico. Inoltre risulta evidente che, sempre con maggiore frequenza gli schemi retributivi utilizzati tendano ad essere costruiti più che per premiare il lavoratore interessato, per garantirgli una sostanziale parità di trattamento. Tale approccio è evidente se si analizza, ad esempio, la voce di indennità garantita a copertura del costo vita (che dalla nostra indagine risulta pagata dall'83% delle aziende intervistate).
Se fino a qualche anno fa da parte delle aziende italiane si rilevava, con una certa frequenza, il ricorso a sistemi che tendevano a calcolare la componente costo della vita sulla base dei pacchetti consumi (con l'effetto di produrre una duplicazione di oneri per l'azienda che continuava a pagare il normale stipendio e in più una indennità per le spese locali e corrispondentemente una duplicazione di redditi per il lavoratore), oggi la tendenza si è assolutamente invertita: il 95% del campione analizzato usa il sistema del differenziale costo vita che invece interviene solo nel caso in cui il costo della vita nel paese di espatrio sia effettivamente più alto di quello registrato in Italia.
Con riferimento all'indennità costo vita rimangono ancora tuttavia differenze rilevanti tra le aziende in tema di definizione della quota di retribuzione da indicizzare: abbiamo infatti riscontrato che solo il 44% del campione si è dotato di un sistema scientifico di definizione della quota di retribuzione spendibile al fine di applicare l'indice mentre il restante 56% individua a tal fine, più o meno arbitrariamente, una quota della retribuzione di partenza (il più delle volte comunque netta).
 
 
Anche con riferimento all'indennità di disagio, che viene garantita con assoluta frequenza dalle aziende intervistate (sempre infatti nell'ordine dell'83%), abbiamo rilevato un sempre maggiore ricorso a sistemi di location rating per poter correttamente inquadrare l'effettivo grado di disagio del paese estero rispetto al paese di origine (circa il 90% delle aziende intervistate) e potervi associare una percentuale di indennità coerente. Con riferimento una percentuale di indennità coerente. Con riferimento a tale percentuale, è interessante sottolineare come il valore minimo più diffuso sia pari allo 0%, a dimostrazione del fatto che per trasferimenti intra-regionali o verso paesi maturi le aziende stanno operando un sostanziale annullamento della voce di indennità disagio. Mantiene una percentuale importante anche la mobility allowance che, dai risultati della nostra indagine, continua ad essere garantita dal 61% delle aziende intervistate, e che a differenza delle due componenti del trattamento prima analizzate, non ha una funzione risarcitoria ma puramente retributiva andando sostanzialmente a premiare la disponibilità del lavoratore al trasferimento.
Con riferimento a tale voce va comunque sottolineato che in media non supera il 15% della retribuzione di partenza (viene calcolata in tutti i casi come percentuale della retribuzione annua lorda).
Le tre voci sopra analizzate rappresentano la quota di trattamento ricorrente più frequentemente garantita dalle aziende italiane e a dimostrazione della sempre maggiore attenzione ad un approccio il più possibile scientifico alla costruzione del pacchetto di espatrio vi è la constatazione che la percentuale delle aziende che si affida alla propria esperienza o know how interno per la determinazione di tali indennità è molto bassa e non supera in media il 20% del campione. Occorre pertanto sottolineare, con riferimento alle indennità sopra elencate, che le aziende intervistate tendono nella quasi totalità dei casi analizzati a garantirle in modo ricorrente (ogni mese) e non sotto forma di una tantum come, invece, risulta più frequente a livello internazionale; segnaliamo infatti una tendenza molto marcata tra le aziende nord europee e statunitensi al progressivo passaggio da riconoscimenti di indennità fisse e ricorrenti al pagamento di indennità una tantum, evidentemente più agevoli da azzerare, dando invece maggiore continuità a trattamenti ricorrenti più contenuti. Questo perché è sempre più difficile giustificare differenze di trattamento corrente tra personale locale e personale espatriato impiegato presso lo stesso contesto organizzativo, soprattutto quando il personale locale è altrettanto qualificato.