"Espatriati: ambasciatori della gestione del rschio"

Raffaella Bossi Fornarini e Paolo Di Muro affrontano il nodo della gestione di incertezza, rischio e multiculturalità per gli expats.
 
Sempre più aziende diventano consapevoli che la gestione dell'incertezza e del rischio sono competenze chiave che l'espatriato deve possedere o sviluppare per riuscire a produrre risultati durante il suo mandato. Come integrare gestione di incertezza e rischio e gestione della differenza di cultura nel caso degli espatriati? Ecco cosa rispondono Raffaella Bossi Fornarini (MD di Passport e Adjunct Professor Organizational Behavior MIP- Politecnico di Milano) e Paolo Di Muro (ZF Italia/ZF AG, Dipartimento di Ingegneria Gestionale, Politecnico di Milano).
 
Partiamo dal legame tra gestione del rischio ed espatriati: questa liaison esiste?
Questo legame sembra essere un tema di crescente attenzione, sia a livello aziendale che individuale. L'espatriato è normalmente scelto per le sue eccellenti competenze tecniche, gestionali, organizzative: in aggiunta a queste competenze osserviamo un trend crescente a favore della selezione di persone che manifestano un alto livello di consapevolezza del rischio e delle relative implicazioni, da quelle operative a quelle legali. L'espatriato spesso si trova ad agire in un contesto ambiguo,
incerto, culturalmente diverso da quello della casa madre, con la necessità di considerare parametri, scenari, complessità nuovi: tutto questo richiede un approccio strutturato ed evoluto. Nel contesto della gestione del rischio, ci piace un parallelo: fino ad alcuni anni fa poche aziende si erano dotate di un piano strutturato di gestione del rischio. Oggi gli strumenti ERM (Enterprise Risk Management) sono invece ampiamente diffusi, sono parte integrante e rappresentano per le aziende non solo una difesa, ma un valore. In modo analogo, quando si parla di rischio, ognuno di noi ha una propria sensibilità individuale, più o meno sviluppata: l'elemento di svolta saranno in questo caso la volontà e capacità aziendale di supportare e ottimizzare l'istinto e l'esperienza individuali con un allenamento mirato e strutturato, che tenga conto dei diversi contesti culturali.
 
La percezione del rischio è influenzata da culture diverse?
Sì. Ognuno di noi è portatore di molteplici culture: quella dell'azienda in cui lavoriamo, quella delle aziende in cui abbiamo lavorato in precedenza, le influenze dell'ambito dei nostri studi, delle nostre passioni e attività. L'esposizione a certi contesti culturali, come mostrato da alcune ricerche, aumenta la propensione individuale a gestire e padroneggiare situazioni di ambiguità.
 
Si può quindi parlare di uno shock culturale relativo al rischio?
Ampi studi dimostrano che gli espatriati, dopo un periodo di "luna di miele" con il Paese ospitante affrontano un periodo di difficoltà: uno shock culturale in cui molto o tutto sembra diventare incomprensibile. In questa fase includiamo anche lo scontro tra la cultura del rischio di cui l'espatriato è portatore e quella del Paese che lo accoglie o, in un contesto più ristretto, quella dei suoi nuovi colleghi, magari più giovani e rappresentanti di una nazione in forte crescita in cui sta avvenendo un piccolo o grande miracolo economico o, viceversa, managers con un grado di seniority superiore e che magari rappresentano un mondo fortemente strutturato e regolamentato. 
 
È possibile definire una strategia formativa specifica per gli expats?
Certamente. Così come è buona pratica fornire agli espatriati competenze linguistiche del Paese che li accoglierà, allo stesso modo è opportuno dare loro un'ampia visione sulla cultura che li accoglierà: questo permetterà loro di meglio comprendere le dinamiche e, in ultima analisi, di potere cogliere tutte le opportunità, per l'azienda e per sé. In questa "base" è ormai evidente che dovrà essere integrata anche la diversa percezione del rischio e la conoscenza delle pratiche di ERM, che possono essere diverse fra locations diverse, anche all'interno di uno stesso gruppo internazionale. In questo senso, l'espatriato opera più come un imprenditore che come un dipendente: è da questa ipotesi che abbiamo concepito un modello di sviluppo di competenze di ERM legate alla differenza di cultura.
 
Si può delineare un ruolo attivo degli expats nello sviluppo di una cultura del rischio?
Uno dei grandi benefici che attribuiamo agli espatriati è l'armonizzazione culturale. Ognuno di loro contribuisce a ridurre la distanza tra culture diverse: è un processo naturale, che merita di essere protetto e stimolato attivamente. Soprattutto nelle prime fasi di ricollocamento, essi saranno in grado di indicare le differenze di percezione e comportamento rispetto alla loro sede di origine; nelle fasi successive, complice la progressiva familiarità con la nuova cultura, risulteranno utili alleati dell'organizzazione nei processi di miglioramento continuo e diffusione della consapevolezza dei sistemi di ERM adottati. L'obiettivo è sempre e solo uno: che l'azienda e l'espatriato possano trarre il massimo vantaggio dalla gestione di attività in contesti internazionali, sfaccettati e articolati, vincendo le sfide della diversità.
 
Buona diversità a tutti!