Diversità culturale, impariamo a gestirla
 
Stefania Celsi - Amministratore Delegato di BonBoard -, intervistata da Manager Italia, affronta gli aspetti legati ai cambiamenti culturali coinvolti nei nuovi processi di trasformazione
 
BonBoard è una startup che aiuta imprese e istituzioni a trovare personale adeguato alla propria crescita internazionale e affronta gli aspetti legati ai cambiamenti culturali coinvolti nei nuovi processi di trasformazione. "Una sfida – spiega l'Amministratore Delegato Stefania Celsi – che si svolge su più fronti, ma che vede al centro il fattore umano, risorsa primaria di qualsiasi impresa".
 
Perché e come è nata BonBoard?
Nasce dalla passione di alcuni professionisti che hanno fatto tesoro del collegamento tra gli aspetti business delle imprese coi temi di sviluppo e valorizzazione del capitale umano. Approfondiamo il tema della multiculturalità nella società, e quindi nel mondo del lavoro, dando un supporto per la sua gestione, sia con servizi di recruiting di risorse multiculturali, che con servizi di formazione e consulenza.
 
In Italia esiste un gap da colmare in questo ambito?
Nel nostro Paese non si è ancora abbastanza considerato il tema degli stranieri e dei giovani di seconda generazione come una leva vincente per la competitività, dunque ci sono ancora pregiudizi e una miopia politica da superare.
 
Donne e uomini: l'approccio verso la multiculturalità è differente?
Non vorrei cadere nei luoghi comuni, ma dalla mia esperienza posso senz'altro confermare che le donne si trovano più a loro agio con persone di cultura e razza differenti e sembrano più inclini ad affrontare situazioni di integrazione, di dialogo e confronto, grazie a capacità negoziali in media superiori a quelle degli uomini e a una predisposizione innata, l'intelligenza emotiva.
 
Ma quali sono le principali criticità che ostacolano il governo della diversity culturale?
Ci sono tre macro problemi. Il primo è legato ai budget dedicati a questo tema: ad esempio quello per la formazione legata al diversity management è oggi più che mai ridotto, visto che si tendono a privilegiare le competenze tecniche rispetto a quelle soft. Esiste poi il tema di individuare e selezionare le risorse multiculturali giuste che non devono essere viste come una competizione rispetto a una platea di giovani italiani non occupati. Il terzo ostacolo è la scarsa attenzione, per non dire indifferenza, da parte della classe dirigente. Non voglio infine dimenticare le preoccupanti esternazioni da parte di alcuni esponenti del mondo politico, che non rendono onore all'Italia e alla sua capacità di accogliere gli stranieri.
 
All'estero il discorso cambia?
Se restiamo in Europa, cito i paesi del nord Europa per l'approfondimento del cross cultural management. La Germania affronta da tempo la questione dei flussi immigratori, anche attraverso una formazione specifica e capillare all'interno delle aziende. Oltreoceano, uno dei paesi più multiculturali è il Canada. Inoltre ci sono anche imprese multinazionali, come L'Oréal senz'altro all'avanguardia su questi temi.