Lavoratori italiani all'estero: aggiornamento Normativo - di V. de Chaurand, Direttore Tecnico di ECA Italia

C'è qualche speranza concreta di uscire dalla crisi che l'Italia sta vivendo dal 2007? Le aziende, le sole che questa crisi possono veramente contrastarla, nonostante le ben note difficoltà di sistema, stanno segnando qualche successo? Saremo forse troppo ottimisti ma la risposta che, seppure cautamente, diamo a queste domande è positiva. Perché moltissime, anche se non fanno notizia, sono le aziende che negli ultimi anni hanno progredito, anche in modo rilevante, confrontandosi con successo con il mercato mondiale. Che siano tante ed importanti lo dimostra il fatto che le esportazioni, quasi tutte manifatturiere, in questi anni pur così difficili hanno retto molto bene, mentre l'industria, se la consideriamo nel suo complesso, ha lasciato sul terreno il 25% del suo livello produttivo iniziale. In pratica una guerra perduta. Ma fortunatamente non perduta da tutti! Ma chi è l'anima, l'artefice di questo sviluppo selettivo? Sicuramente gran parte del merito va ai manager e ai tecnici che si sono fatti promotori ed esecutori dello sviluppo commerciale e produttivo delle proprie aziende all'estero. E moltissimi fra questi sono i cosiddetti "espatriati". Oggi diventa quindi più che mai importante per le aziende comprendere in che modo relazionarsi con questi "lavoratori di élite". Ecco quindi lo sforzo di mettere a fuoco tutte le problematicità inerenti l'espatrio, soprattutto quando tocchino le migliori risorse in mobilità internazionale, da noi ancora prevalentemente italiane, anche se non più soltanto italiane.
Una cosa in proposito deve comunque essere detta: in Italia, quando le aziende sono chiamate ad affrontare questi compiti difficilmente trovano le istituzioni al loro fianco. Negli altri Paesi, ad esempio, sono dettate regole semplici ed eque per evitare che i lavoratori che operano all'estero nell'interesse dell'economia del Paese siano ostacolati da veri e propri disincentivi fiscali. Normalmente quando l'espatrio dura oltre i 6 o i 12 mesi si perde la titolarità fiscale nel Paese di origine, a fronte dei redditi di lavoro conseguiti all'estero. In Italia la durata dell'espatrio non conta molto, conta invece che il lavoratore faccia cadere i legami familiari ed economici che lo legano all'Italia . Ma forse, almeno quest'anno, si è registrata una prevalenza di segnali positivi di cambiamento.
Aspetti positivi
Ovviamente non si può sperare, nella attuale situazione finanziaria,di ottenere le esenzioni previste dai Paesi nostri concorrenti, ma come altrimenti definire, se non positiva, la legge n. 89 del 24 giugno 2014? Questa legge contiene infatti una disposizione che ha evitato che si producesse un grave peggioramento della situazione degli espatriati, soprattutto per i complessi adempimenti che avrebbe comportato: lo scorso anno era stata infatti approvata la legge n.97 del 2013, che prevedeva che tutti i bonifici provenienti dall'estero e destinati a persone fisiche (cioè tutte le rimesse) fossero soggetti ad un prelievo "forzato", che sarebbe stato operato in termini automatici dalle banche (allora del 20%, ma che comunque sarebbe lievitato al 26%). Il provvedimento, prima sospeso, è stato abrogato col DL 66/2014, poi convertito nella legge n. 89 prima ricordata. È vero che all'imposta ci si sarebbe potuti sottrarre dimostrando che le rimesse non riguardavano proventi di carattere finanziario, e si trattava in particolare di proventi da lavoro, ma l'onere della prova sarebbe spettato proprio agli incolpevoli, e spesso sprovveduti, destinatari delle rimesse, con le gravi conseguenze che non è difficile prefigurare. Il provvedimento risentiva evidentemente di una scarsa considerazione degli espatriati e della convinzione che purtroppo spesso si manifesta in Italia, che gli italiani all'estero, compresi i lavoratori espatriati, forse i più benemeriti fra tutti i nostri lavoratori, siano potenziali evasori e che le esigenze di fare cassa costringano a "sparare nel gruppo". Un altro punto a favore degli espatriati è stato dato da una importante circolare dell'Agenzia delle Entrate, la numero 11/E del 21 maggio 2014, che ha precisato in modo incontrovertibile l'applicabilità delle retribuzioni convenzionali a tutti i dipendenti italiani all'estero che siano rimasti residenti in Italia, a condizione ovviamente che per essi ricorrano le condizioni previste dalla legge (durata ed esclusività del lavoro, con il corollario della contrattualizzazione): da parte di taluni, fortunatamente non molto numerosi, si sosteneva invece che le retribuzioni convenzionali non potessero coprire tutta la fascia del lavoratori dipendenti, ma restrittivamente solo quelli cui in Italia, prima dell'espatrio, si erano applicati i contratti collettivi italiani. Non c'è più dubbio invece che a tutti, compresi quelli assunti all'estero, vadano applicate le retribuzioni convenzionali, utilizzando quelle che ad essi (cosa peraltro assai semplice) possono essere ricondotte.
Aspetti negativi
Occorre comunque registrare ancora qualche provvedimento di segno opposto. Recentemente infatti la Cassazione è entrata, come si dice, a gamba tesa sui poveri espatriati. La cosa ha riguardato un aspetto che la legge non a caso non aveva voluto regolare, non ponendo limiti temporali artificiosi alla durata massima delle trasferte, soprattutto di quelle all'estero. Una recente sentenza, la n. 2699 del 6.2.14, ha cancellato i benefici fiscali relativi alle indennità e ai rimborsi spese di cui avevano goduto alcuni lavoratori espatriati che avevano lavorato per circa un anno, senza esservi trasferiti, in un Paese dell'est europeo, in una situazione che l'azienda aveva, a nostro avviso giustamente, ricondotto ad una trasferta. La durata di un anno è sembrata eccessiva alla suprema corte, che non sembra avere esaminato alcuna altra circostanza (rientri interruttivi in Italia, presenza delle famiglie, ecc.). Una sentenza assai grave, anche se un'azienda più accorta avrebbe potuto evitare gli inconvenienti che poi sono sorti, utilizzando lo strumento del contratto estero di assegnazione o di distacco, con le relative (incontrovertibili) facilitazioni. Un esempio dell'attenzione che si richiede sempre quando si gestisce un espatrio.
Altri aspetti
È dello scorso anno ma, non essendosi ancora chiariti del tutto i suoi effetti, resta difficile da valutare la ben nota risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 48/E dell'8 luglio 2013 anche se, occorre dirlo, ha creato notevoli obiettive difficoltà applicative. La risoluzione intendeva fornire un chiarimento relativo alle modalità di calcolo del credito d'imposta invocabile da un lavoratore dipendente italiano che nel quadro di un contratto continuativo ed esclusivo per l'estero aveva mantenuto la residenza fiscale in Italia. Secondo la linea indicata dalla risoluzione appena richiamata le imposte versate all'estero a titolo definitivo devono essere ridotte proporzionalmente al rapporto tra:
  • la retribuzione convenzionale determinata in base all'articolo 51, comma 8-bis, del TUIR, e 
  • il reddito di lavoro dipendente che sarebbe stato tassabile in via ordinaria in Italia (in base alle disposizioni dell'art. 51, commi da 1 a 8 del TUIR, che come noto prevedono la determinazione analitica del reddito di lavoro dipendente).
La novità di questo passaggio di prassi "risiede" nel denominatore del suddetto rapporto sopra richiamato, dove l'orientamento generale delle aziende, almeno fino allo scorso anno, è stato quello di considerare il reddito estero determinato secondo le regole estere, senza passare per una tortuosa e poco chiara riclassificazione alle regole italiane. Si richiede un' operazione complessa che obiettivamente può rischiare di essere arbitraria. Prova ne è il fatto che stati molti i soggetti che, di fronte a queste difficoltà, hanno deciso di non far valere il credito, anche se con grave danno economico. Ora dopo più di un anno di esperienza fatta "sul campo" dalle aziende e dai loro consulenti si può affermare che questo atteggiamento non sia più giustificato e che nella maggior parte dei casi si possa operare il calcolo del credito d'imposta senza incorrere in alcun rischio, anche se la materia resta obiettivamente complessa e meriterebbe un nuovo intervento dell'Agenzia, se non altro per la varietà delle tipologie considerate e delle durate dell'espatrio: dipendenti assunti da Società estere con rapporti privi di qualsiasi collegamento con l'Italia, dipendenti pagati anche interamente in valuta estera; dipendenti di cantiere inseriti in cicli più o meno brevi di lavoro/riposo, dipendenti distaccati temporaneamente presso società estere, dipendenti assegnati stabilmente all'estero, ecc.