Chinesedream - di M. Girardo
Quale cornice migliore per presentare il libro di Francesco Boggio Ferraris, "Chinesedream" se non la prestigiosa sede della Fondazione Italia Cina in Palazzo Clerici a Milano? L'amministratore delegato di ECA Italia, Andrea Benigni e l'autore dell'ebook realizzato da ECA Italia Editore hanno conversato il 16 dicembre sulle relazioni fra i due Paesi in ambito lavorativo – relazioni sempre più stringenti – dopo la preziosa introduzione sul "Sogno cinese" del responsabile Cultura, Educazione e Tecnologia del Consolato cinese del capoluogo lombardo.
Il libro di Boggio Ferraris, del resto, è proprio una guida ricca di aneddoti e frutto della personale conoscenza dell'autore per inquadrare il caleidoscopio di idiosincrasie, incomprensioni, fortunate coincidenze, illuminanti intuizioni e tragici fallimenti che oggi governano le relazioni professionali tra Occidente e Cina, tra Europa e Cina o, ancor più ambiziosamente, tra Italia e Cina, per intercettare soprattutto le leggi che ne regolano i meccanismi più soft e meno decifrabili.
Per lunghi anni, spiega l'autore, le nostre economie hanno guardato ad Oriente come destinazione privilegiata per investimenti caratterizzati dalla realizzazione di stabilimenti produttivi e dall'impiego di risorse umane direttamente sul territorio cinese, grazie a garanzie oggettive che sussistono, per molti versi, tutt'oggi. Se il costo del lavoro ha smesso di rappresentare una valida motivazione ad intraprendere la strada della delocalizzazione tout court, infatti, la stabilità di un sistema politico infulcrato sul modello di Stato "sviluppista" e religiosamente votato al sostegno della progettualità industriale, nonché la sicurezza di una pianificazione economica su base quinquennale, sono garanzie che altrove nel mondo si stenta a riscontrare con un'intensità anche solo lontanamente paragonabile a quella del "sogno cinese".
Tuttavia, nell'arco di pochissimi anni si è cominciata a registrare una netta inversione di tendenza, i cui esiti sono riscontrabili anche nel nostro Paese. Nel 2000 erano solo 7 le imprese italiane partecipate da investitori cinesi. Dodici anni dopo, nel 2012, questo numero è cresciuto fino a raggiungere quota 133, occupando 5.534 dipendenti e dando vita ad un mercato il cui giro d'affari ha raggiunto quota 2.665 milioni di euro. Questo se si escludono le 62 imprese partecipate da multinazionali di Hong Kong, capaci da sole di dare lavoro a 4.755 dipendenti e di generare 3.366 milioni di euro di affari. In tale contesto, turismo e formazione si elevano a settori strategici, capaci di ridisegnare la geografia dei rapporti economici tra i nostri due Paesi.