"Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul vostro collega cinese e non avete mai osato chiedere"
Francesco Boggio Ferraris della Fondazione Italia Cina spiega perchè è davvero arrivato il momento di studiare. Di aggiornarsi e prepararsi per non farsi cogliere impreparati ad un modello di relazioni professionali che deve tenere conto di una cultura peculiare e tutta da scoprire.
Cos'è la "Golden Week" e perchè nei primi giorni di ottobre è pressoché impossibile mettersi in contatto con il nostro partner in Cina? Cosa sono quei segni rossi, simili a dolorosissimi lividi che fanno capolino dalla camicetta della nostra Sales Assistant di Hong Kong, lasciando intravedere sulla sua schiena il risultato di qualche pratica medica misteriosa? Quale incommensurabile sonno arretrato costringe il nostro dipendente a reclinare la testa tra le braccia conserte e schiacciare un pisolino seduto nel retro del negozio ogni volta che un'occasione lo consente? Quale misteriosa ed atavica forza priva di qualsiasi freno inibitore il nostro collega docente di Pechino, capace di cedere all'abbraccio di Morfeo davanti ad un'aula di settanta studenti universitari intenti a sostenere gli scritti di cinese, incurante delle risate e delle foto destinate a fare il giro dei social network di tutto l'ateneo? Perché il nostro vicino di scrivania cura un banale raffreddore con brodo di pollo, zenzero, cipollotto e carne di manzo anziché aspirina C? Perché se un nostro dipendente ha subito un lutto a marzo, chiederà un permesso per tornare in Cina e partecipare al funerale della nonna solo a settembre? Quale misteriosa ed arcana legge governa il calendario lunare, l'Yi Jing e la numerologia tradizionale?
Forse, è davvero arrivato il momento di studiare. Di aggiornarsi e prepararsi per non farci cogliere impreparati ad un modello di relazioni professionali che deve tenere conto di una cultura peculiare e tutta da scoprire. Almeno, se abbiamo l'ambizione di realizzare un ambiente lavorativo interculturale tale da trasformare apparenti divergenze e distanze in potenziali risorse e vantaggi. Che sia arrivato il momento di formarci, hic et nunc, ce lo confermano alcuni dati macroeconomici.
Se nel 2000 erano solo 7 le imprese italiane partecipate da investitori cinesi, dodici anni dopo, nel 2012, questo numero è cresciuto fino a raggiungere quota 133, rendendo concreta l'occupazione di 5.534 dipendenti e dando vita ad un mercato il cui giro d'affari ha raggiunto quota 2.665 milioni di euro. Questo se si escludono le 62 imprese partecipate da multinazionali di Hong Kong, capaci da sole di dare lavoro a 4.755 dipendenti e di generare 3.366 milioni di euro di affari. In altre parole, stiamo assistendo allo sviluppo di un nuovo orizzonte industriale, in cui il flusso degli investimenti sta invertendo drasticamente la rotta. Se ancora ce ne fosse bisogno, a definitiva testimonianza della direzione presa dal corso del denaro con ancora maggior vigore dopo la crisi internazionale, i dati aggregati sugli IDE (Investimenti Diretti Esteri) italiani in Cina, e, viceversa, su quelli cinesi in Italia tra il 2008 ed il 2012, lo illustrano ancora più efficacemente. Nel 2008 le nostre imprese hanno investito in progetti esteri rivolti alla Cina per un ammontare di 493,26 milioni di dollari Usa. Quattro anni dopo, nel 2012, dopo aver subito il contraccolpo della crisi globale, il nostro impegno si è dimezzato, scendendo a 245,76 milioni. Un valore che descrive un decremento pari a -50,17%. Volgendo il nostro sguardo alla crescente attrattività esercitata dal nostro Paese per gli investitori cinesi, invece, si può notare che nello stesso arco di tempo i loro investimenti sono passati da 5 milioni di dollari Usa del 2008 ai 224,83 del 2011, risultando in una crescita monstre del +4.396,6%. Uno scenario, questo, che ci obbliga a ripensare la natura dei rapporti professionali in una logica cross cultural contemporanea e non convenzionale.
Ecco perché, in sintesi, risulta impossibile esimersi dallo sforzo di osservare, capire e disegnare poi nuove direttive attorno alle quali costruire un management attento e moderno, sicuramente debitore della ricerca sulle Cinque Dimensioni Culturali di Geert Hofstede, ma tale da rielaborare questa visione in chiave contemporanea e globale. Il processo non è affatto scontato. Ciò potrebbe significare, infatti, che lo studio e l'attenzione per i tratti peculiari della psicologia cinese, di cui fare tesoro, necessiti di essere rielaborato e rivisto alla luce di una discontinuità con la tradizione che, in molti casi, si traduce in comportamenti aziendali del tutto in linea con quelli cui siamo abituati in Occidente. Ovvero, un'eccessiva segmentazione e specificazione di tratti, comportamenti, attitudini e aspettative rischia di creare pericolosi stereotipi e "grandi muraglie" anche là dove istintivamente, magari, non si verificherebbero.
Se volgiamo il nostro sguardo più indietro nel tempo, scopriamo antefatti che permettono di leggere sotto una luce inedita la storia contemporanea delle relazioni culturali italo-cinesi.
Prima dell'apertura di qualsiasi canale commerciale, ancor prima dell'attenta disamina di qualsiasi catalogo degli investimenti e decisamente prima dei programmi di traineeship rivolti ai manager, la Cina aprì le proprie frontiere agli studenti universitari attraverso il progetto liuxuesheng ???, dedicato agli «studenti che rimangono a risiedere in Cina» ed inaugurato negli anni '50. Dunque, prima studiammo, verrebbe da dire. Ma forse agendo nel solco tracciato dai grandi umanisti, dagli scienziati e dagli studiosi europei che, tra il XVI ed il XIX secolo animarono il confronto nelle corti delle dinastie Ming e Qing, abbiamo privilegiato una formazione basata su studi di natura linguistica, antropologica, etnografica e letteraria, scoprendo solo in epoca recente la strategicità e l'urgenza di operare in un orizzonte finalmente profondamente cooperativo. Si può dire con certezza che quando ci limitiamo alle informazioni iperboliche o allo stupore di fronte a differenze che appaiono inconciliabili, accontentandoci di un roboante racconto di quanto Occidente e Oriente siano lontani (ma dove iniziano questi confini e dove finiscono?), non facciamo altro che alimentare la superficiale visione di eterna contrapposizione tra un "noi" e un "loro", quasi esistesse quest'unica condizione unidimensionale della relazione. È chiara, allora, la prematura obsolescenza di un mondo che fatichiamo a concepire come globale. La storia, fortunatamente, è sempre più ricca di sfumature rispetto a una realtà che, per comodità, tendiamo a raffigurare in bianco e nero. «Zhongxue weiti, Xixue weiyong» ?? ???????: «il sapere cinese per le cose essenziali, il sapere occidentale come mezzo», sosteneva Zhang Zhidong, riformista di epoca Qing che già verso la fine dell'800 aveva intuito i vantaggi di una prospettiva sincretica, applicandone i princìpi all'ambito della tecnologia militare. Nell'ottica di modernizzare l'esercito, sforzo che lo accompagnò per tutta la vita, invitò alla corte Qing importanti ingegneri ed esperti militari tedeschi.
Insomma, senza scomodare i nomi dei giganti che con la loro dotta opera pionieristica hanno costruito le fondamenta del dialogo tra le due civiltà, dai fratelli Polo, abili commercianti accompagnati dal giovane nipote Marco, fino ai gesuiti Matteo Ricci, grande matematico, cartografo e sinologo, e Giuseppe Castiglione, pittore alla corte degli imperatori Kangxi, Yongzheng e Qianlong, nondimeno l'epoca moderna e quella contemporanea sono ricche di spunti utili a valutare il reale stato dell'arte dell'incontro tra le nostre culture. Certo, il terreno sul quale agiscono oggi le imprese impegnate a sviluppare business con partner cinesi è in parte lastricato delle competenze sviluppate dalle diverse generazioni di sinologi che si sono succedute a partire dalla fine degli anni '50. Oggi, a distanza di più di 60 anni, ci troviamo di fronte alla necessità di raccogliere quell'eredità per elaborare percorsi formativi non convenzionali, con l'obiettivo di creare soft skills indispensabili per operare in un contesto interculturale tutto nuovo. Quelle che ci permettono di capire che la "Golden week" è una settimana di ferie voluta dal governo cinese per alimentare i consumi in occasione della festività, sacra, benché laica, del 1° ottobre, giorno in cui si celebra la nascita della Repubblica Popolare Cinese, fondata da Mao Zedong nell'ormai lontano 1949. E ancora, che non dobbiamo preoccuparci per la vita privata della commessa del nostro negozio, dal momento che quei segni rossi sono il risultato della moxibustione,
un trattamento a base di polvere di artemisia rovente antico quanto l'agopuntura. Infine, che le pennichelle durante la giornata sono il risultato di una concezione del tempo assolutamente diversa dalla nostra, che per altro si traduce, nella società moderna, nella confusione tra vita privata e vita lavorativa. Quasi che si preferisse dilatare la fase lavorativa all'interno dell'intera giornata e fino alla tarda sera, sottraendo al lavoro il minor numero di ore possibile, con i risultati che si possono immaginare.
In quest'ottica, una necessaria puntualizzazione non può che riguardare le tempistiche effettivamente necessarie ad acquisire una corretta sensibilità verso la cultura cinese dei rapporti professionali, processo che richiede paziente e costante applicazione.
D'altronde, recita un proverbio cinese, «bámiáo zhùzh?ng» ????, ovvero "strappare il germoglio per aiutarlo a crescere" è pratica paradossale e controproducente. Gli sforzi indirizzati ad elevare i propri standard nei rapporti commerciali con il partner, il cliente o il fornitore cinese, anche i più intensi, devono essere necessariamente progettati in un'ottica di lungo periodo. Il motivo è semplice. Ma in che modo una lingua può essere tanto fondamentale nel determinare una specifica forma mentis? La necessità di assorbire quasi passivamente una tale mole di nozioni spesso parzialmente scollegate tra di loro favorirebbe la formazione di un approccio alla conoscenza che si potrebbe definire olistico, piuttosto che particolaristico. Ciò fa sì che ci si alleni sin da molto giovani a considerare contemporaneamente numerosi aspetti di un fenomeno, piuttosto che soffermarsi sui singoli particolari. La ripetizione dei concetti, le lunghe e dettagliate descrizioni, il valore rappresentato nel marketing dalla pratica dello storytelling diventano strategie corrette se si intende prestare attenzione alla psicologia dell'interlocutore cinese. Qualcuno la definisce la «strategia delle tre P»: presenza, pazienza e prudenza. There's just no other way ...